Dei poeti dialettali

Dei poeti dialettali di San Benedetto del Tronto

A cura di Enrico Liburdi

Se lunga, sottile, è stata l’analisi della vicenda della formazione storico-morfologica del vernacolo sambenedettese, ricostruita dall’appassio­nato poeta vernacolo cittadino Francesco Palestini, abbastanza semplice e breve, sarà, in compenso, la storia della letteratura dialettale paesana, anche perché, su essa, avemmo già altra occasione di intrattenerci con suffi­ciente ampiezza, preludendo alle poesie dell’incogrùto ZAUTTE rimasto a lungo sotto il velo dell’anonimo, malgrado le insistenti e minuziose ricerche di curiosi ed impazienti cittadini (1). Del resto, è ben noto che (eccettuati i dialetti di maggiore impor­tanza derivati dal volgare italiano subito impostisi per abbondanza di testi poetici e prosastici dovuti principalmente ad operosi scrittori meri­dionali, romani, veneti, milanesi e, soprattutto, toscani), la valorizzazione ed il conseguente S[lldio dei vernacoli locali, nelle loro caratteristiche varietà, è fenomeno, si può dire, non risalente oltre i primi anni del secolo XIX, diretta conseguenza del diffondersi del romanticismo nel campo letterario. Fu esso, infatti, ad indirizzare allo studio storico, psico­logico, civile, religioso dell’ambiente, aprendo la strada al non lontano trionfo del verismo in ogni campo dell’attività artistica e letteraria che vivamente impegnò gli anni posteriori. Inoltre, la dolorosa constatazione che il dialetto, più ancora del linguaggio nazionale, era soggetto a rapida trasformazione ed a fatale declino, per il costante e generale affermarsi dell’idioma nazionale favorito dall’intensificarsi dei traffici commerciali e dallo stesso sviluppo di un turismo di massa, consigliava che, almeno in testi scritti, se ne fermasse memoria a vantaggio degli studi e dei posteri.

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